09 Ago ASPETTANDO VINICIO
Nel periodo che va dal 19 al 25 agosto, il nostro gruppo di lavoro parteciperà ad una o più date dello Sponz Fest. Festival ideato da Vinicio Capossela nella terra d’origine dei suoi genitori, giunto alla settima edizione.
Vinicio, orgoglio della nostra terra; solo in parte. Nato in Germania, da genitori irpini trapiantati in terra straniera. L’influenza germanica mescolata alle radici di una terra di mezzo è presente e percettibile nella sua produzione artistica.
Coesistono il senso del dovere nordico – quando è al lavoro – e la creatività cupa, intrisa di malinconia e rassegnata attesa per qualcosa d’altro, di là da venire, tipicamente irpina e di tutte le “TERRE DI MEZZO”.
L’attesa quale modus vivendi prima che operandi, l’attesa per qualcosa che accadrà, ma forse, meglio se non accadrà affatto. Perché, la novità può essere foriera di nuove energie e curiosità, ma anche portatrice di “mala novella”.
Di fronte all’assunto: “nulla nova bona nova” meglio che tutto resti com’è. Il saggio latino doveva appartenere ad una terra di mezzo.
Il seme dell’opera di Capossela viene piantato nel suo primo disco “all’una e trentacinque circa”. Un Vinicio giovanissimo e mitteleuropeo, a tratti emigrato ed emigrante da qualcuno e da qualcosa.
Il seme germoglia, attraversa diverse fasi, passando da “che cos’è l’amor” dall’album camera a sud, fantastico inno all’amore carnale e poetico vissuto solo a tratti. I tratti, si specchiano in un bicchiere di rosso, fino a giungere alle fiabe umane e bestiali. Fiabe solo accennate in marinai, profeti e balene, palesati alla sua mente e alla nostra, al suo cuore e al nostro, fino a giungere a ballate per uomini e bestie.
Verrebbe da dire: ” basta lasciarsi andare ” per entrare nel mondo di Capossela e viaggiare con mente e spirito, verso nuove METE.
Sembra facile… Per lasciarsi andare, occorrono il coraggio e l’incoscienza del VERO fanciullo. E’ necessario immergersi e nuotare nel mare e nei mari descritti da Vinicio. Non aver paura di fare brutti incontri, d’incontrare l’amore, quello non appagante, quello che lacera di continuo, che malato, ammala e si ammala fino a morire. Che al ricordo, fa sanguinare la mente non il cuore, attraversando la nostalgia e la paura, ed infine, sfocia nel pianto liberatorio che consente di andare avanti. Avanti appunto, nella SANA normalità.
Non è facile e non è da tutti. Capossela come tutti i grandi, è semplice d’impatto – quasi per tutti – i tutti, diventano pochi una volta intrapreso il viaggio nell’IO sentimentale.
L’antologia di Spoon River (cara all’immenso Faber) chiamata in causa spesso a sproposito, da letterati e pseudo tali, da radical qualcosa e giornalisti trash, è sentimentalmente presente in tutta l’opera di Capossela. Edgar Lee Master (1868/1950) ha scritto molto, ma viene ricordato e liquidato con l’opera “massima”. La letteratura americana, diversa e SOLO a tratti simile a quella inglese è intrisa di: “mentre la baciavo con l’anima sulle labbra, l’anima d’improvviso mi fuggì”.
Se provassimo a musicare questo verso splendido e terribile (colui che bacia è affetto da scarlattina) che ci porta in cielo e poco dopo ci scaraventa in terra; lì c’è Capossela.
Il punto di vista inglese che si discosta più nella forma (stilisticamente) che nella sostanza dall’americano, ci sintonizza (per restare in tema) con Shelley e Sterne. Anche se i tre, hanno scritto e vissuto in epoche diverse – non possiamo non tenerne conto – il parallelismo tra le opere ed i testi di Capossela, è stato naturale.
Come in Prometeo liberato, dove Shelley (1792/1822) decide di concludere il dramma diversamente da Eschilo nella sua tragedia. Vinicio, nell’apoteosi della tragedia umana, lascia uno spiraglio al sentimento, alla pietas, che man mano prende il sopravvento e guarisce. Prometeo (umano e mitologico, amorevole ed istintivamente bestiale) per il poeta inglese sarà liberato da Ercole, Giove sarà detronizzato perdendo il suo potere. Nell’opera inglese si riflette l’animo romantico – come per Capossela – che nel greco, diversamente, non prendeva il sopravvento perché la tragedia si concludeva con un riavvicinamento ed una riconciliazione tra lo stesso Prometeo e Giove.
Anche Sterne (1713/1768) nelle opinioni di Tristram Shandy narra di situazioni reali, meschine e grottesche, dove si manifesta l’animo umano in tutte le sue sfumature, bellezze e brutture, ma nei personaggi, leggo (ricordo) un aspetto quasi mitologico (anche se l’ambientazione è contemporanea al poeta inglese). Esseri che nella metafora delle loro esperienze, dei caratteri e delle caricature, somigliano a strani personaggi che si fatica a sentire “umanamente simili”.
Per intenderci QUESTI ed ALTRI, narrano di donne e uomini (antepongo le prime NON per galanteria, ma perché in loro sento l’odore acre e meraviglioso del carburante che alimenta la macchina UMANA fatta di sentimento e tékhne-logìa) fatti di lacrime salate ed amare, di sangue non annacquato, solido e pesante, come quello del santo venerato dagli abitanti di Parthenŏpe quando non avviene il miracolo.
Donne e uomini fatti di AUTENTICA verità INTIMA (non necessariamente verso gli altri individui) generata da RARI ed apicali momenti di felicità, che squarciano una COSTANTE e silenziosa (dissimulata ad arte) attesa della FINE!
La fine di una esistenza meravigliosa, forse, non tanto da valerne un principio ed una fine.
Il cantautore durante il cammino nella sua opera, regala pochi metri a bestie e uomini bestiali privi di esistenzialismo, rendendoli totalitari solo per brevi tratti. Poi, l’esistenzialismo che c’è in Vinicio riprende il sopravvento e la cena delle beffe, si trasforma da cruda realtà a sogno spaventoso, ma pur sempre; SOLO sogno!
I suoni della terra, la sua terra e tutte le terre di mezzo, presenti nell’opera dell’artista, andrebbero catturati nella loro morfologia ed inseriti nell’opera stessa, non attraverso la metafora cantautorale ma nella loro VIVA essenza!
Sulle orme del grande Lomax, andrebbero scovati, sentiti, ascoltati, digeriti, metabolizzati, stampati indelebilmente nel CUORE della MEMORIA e scolpiti nell’opera, fino a diventarne parte essenziale della sua poetica. Questo FAREI!
Rumori e suoni (che poi sono la parte nobile oppure nobilitata di un rumore) tra questi a noi cari e gli altri, la distanza è rappresentata (banalizzo per non fare il docente) dalla regolarità o meno della propagazione di una serie di vibrazioni. Anche in tal caso torna la metafora del “normale” che si distingue dall’ “anormale” il regolare dall’irregolare; il suono dal rumore. Tutti e tutto, figli minori o maggiori dello stesso PADRE!
Ricordo da bambino, avrò avuto sette anni, ero in spiaggia con alcuni piccoli amici, arrivò un intruso (non apparteneva alla comitiva) e provò a farsi accettare utilizzando la tecnica dell’attaccabrighe. Durante l’inizio di un piccolo litigio finito bene e presto, alla presunta offesa di uno del gruppo che gli chiese se fosse normale o meno, incazzato e fermo rispose: “ma normale a chi? Certo che no”! Splendido esempio di saggezza in puro stile antica Grecia.
Suoni e rumori sinceri, originali ed originari, terrestri, etnici ed antropologicamente inseriti nell’opera, entrando in questa, sarebbero a loro agio.
Bestie, marinai, licantropi, streghe, angeli, nymphaeae, spiritelli, URO, maschere, scafandri, santi, social, fino al povero Cristo. Gli ultimi dischi del maestro rappresentano piccoli testamenti di memoria molto simili ai necrologi di cui sopra. Necrologi che in tal caso, prendono vita nella morte e restituiscono un pezzetto di morte durante la vita, per lo squallore che spesso, in questa si nasconde e si manifesta silenzioso.
Per nostra fortuna, Capossela dopo tanta ansia, PAURA, agitazione, incubi e sogni, ci lascia la SPERANZA di potercela fare.
Ci invita a sognare con lui perché questi, il sogno, nell’era in cui la tecnologia è stata SFRATTATA dal suo intrinseco significato antropomorfologico, rappresenta l’unica via d’uscita. Una via d’uscita, dove dovremmo imparare ad elogiare fuga e lentezza!
La ballata del carcere di Reading (splendida traduzione e adattamento dall’opera di Wilde) è la ballata per eccellenza. C’è l’antologia di Edgar, la liberazione miracolosa di Pietro (Atti 12/1-19) re Artù e la Bretagna, ancora Faber e Brassens.
Canta il SACRO ed il PROFANO che popolano mondo umano e mondo umanamente bestiale, la TERRA di sopra e di sotto, per capirci, quella cara al SOMMO per eccellenza, il noto nasuto, a me intimamente CARO.
Ci sentiamo dopo la pausa estiva, utilizzeremo questo periodo per ricercare nuovi stimoli e riflettere lentamente sul da-farsi!
P.S. Grazie a David Ardito, amico e consulente, per la foto di copertina. Good friend!
Good listening!!!!!!